Progetto libdem

Rafforzare i diritti e tutelarli come bene primario

di Antonio Suraci

Esiste un progetto liberaldemocratico ed esiste una Nazione che vuole caratterizzarsi sui principi e valori liberaldemocratici. Un progetto è e rimane tale sino a quando non vengono individuate le strutture portanti con cui edificare quanto è nella mente intuitiva dei propositori. Noi siamo oltre. Esiste la società liberaldemocratica che vogliamo realizzare e per essa sono stati individuati nel tempo i valori che devono modellare le nuove istituzioni necessarie ad una Nazione moderna la cui ambizione è partecipare allo sviluppo dell’Umanità. Per fare questo occorre, però, sgombrare il campo da un equivoco di fondo: non può esistere una Nazione su base liberaldemocratica e al contempo liberista. I due modelli sono in antitesi sul piano sociale e sul piano economico. Il primo rappresenta la sintesi di un pensiero liberale innovato dai valori democratici (qualcuno potrà sostenere il contrario ma non cambia il dato finale) che arricchendolo sul piano sociale e partecipativo ne fa oggi un modello di riferimento per la costruzione di una società democratica e solidale. Il liberismo rappresenta il desiderio di pochi di instaurare un regime economico sulla base di un egoismo sociale che non produce un progresso dell’Umanità, ma ne limita l’azione rinchiudendola in una mangiatoia dove possa ingrassare e consumare senza poter obiettare nulla se essa stessa non diviene detentrice di un minimo di capitale utile a vanificare in parte la condizione di sfruttamento in cui è tenuta. Come scriveva Einaudi "… la soluzione più conveniente non è sempre quella liberistica del lasciar fare o del lasciar passare, potendo, invece, essere, caso per caso, di sorveglianza o di diretto esercizio statale o comunale o altro ancora… Di fronte ai problemi concreti l’economista non può essere mai né liberista, né interventista né socialista ad ogni costo". Evitare il monopolismo e il collettivismo è un imperativo dei liberaldemocratici che devono impegnarsi nel costruire una società basata su uno Stato che sia terzo rispetto ai fattori economici e che sappia colmare i vuoti che dall’economia spesso vengono generati a danno del cittadino.

Nessun cittadino sarà mai libero se non verrà a sua volta liberato dallo stato di sofferenza in cui viene relegato per meri calcoli economici. La libertà politica in queste condizioni è negata seppur non per decreto. Pertanto il ruolo dello Stato a cui noi dobbiamo rifarci è duplice: da un lato deve impegnarsi a rimuovere gli ostacoli che impediscono il libero esercizio del cittadino favorendo un progressivo benessere, sia economico che morale, e dall’atro saper governare quelle forze economiche che per loro natura tendono al monopolismo o allo sfruttamento economico per il raggiungimento del massimo profitto.

Scriveva Nicola Matteucci: "Il liberalismo è, al contrario delle altre dottrine, tutte più o meno ideologiche, prima di tutto un metodo o, se si preferisce, una sensibilità: è proprio la metodologia atta a smascherare le pretese totalizzanti delle ideologie politiche che si presentano sul proscenio della storia". Il liberalismo è un metodo, padre del riformismo, che oggi in molti tentano di trasformare in una nuova ideologia del consenso. I danni prodotti da tale evoluzione di pensiero, ormai ventennale, sono, sul piano culturale, particolarmente dannosi per i liberaldemocratici che non riescono a diffondere quel messaggio educativo sul come procedere sulla via dello sviluppo, proprio del riformismo, trasformato da inani diatribe sul chi è più o meno riformista.

In tale disputa ideologica la vittima illustre è lo Stato, che non può crescere attraverso quella civiltà del dialogo e del consenso che ne tutela la terzietà indispensabile in una società complessa e multipolare. Peraltro non possiamo dimenticare il pensiero politico di Ugo La Malfa, genuino interprete del liberalismo empirico che tentava di introdurre in Italia le esperienze economico-sociali keynesiane e beveridgiane: credeva nelle opportunità offerte dall’economia di mercato, ma sapeva che senza poteri pubblici in grado di incidere sulla realtà del Paese sarebbe stato difficile eliminare gli squilibri, le ingiustizie e promuovere lo sviluppo. Condizione questa non ancora risolta nell’Italia contemporanea nonostante le fantasie politiche spingano in direzione opposta. L’economia capitalistica non era, per Ugo La Malfa, un sistema da superare perché in crisi (potremmo affermare la stessa cosa oggi con le dovute correzioni), ma un meccanismo neutro soggetto alle spinte politiche e alle rivendicazioni sociali che ne mettevano in discussione i presupposti e ne condizionavano uno sviluppo lineare. I sistemi economici non rappresentano soluzioni taumaturgiche anche quando importanti istituti internazionali sostengano la bontà di un sistema rispetto ad un altro. Lo sviluppo di qualsivoglia sistema economico non può prescindere dalla partecipazione di uno Stato consapevole del proprio ruolo e che sappia governare spinte indipendenti ai danni della collettività.

Ugo La Malfa, come bene lo definì Rosario Romeo, rappresentava la sintesi "fra la pedagogia della modernità e l’apostolato del sacrificio e dell’ideale di Giuseppe Mazzini". Quindi noi abbiamo un modello a cui ispirarci, purché non si commetta l’errore di interpretarlo con soluzioni che rischiano di porci in contraddizione rispetto ai valori in cui crediamo. Nell’affermare la terzietà dello Stato ci deve essere un unico metodo che ispiri le azioni politiche e le decisioni da prendere a premessa di qualsiasi riforma: la salvaguardia della dignità umana per lo sviluppo armonico della società. Questo è possibile realizzarlo attraverso nuove istituzioni territoriali, innovate da valori condivisi che rappresentino i limiti invalicabili, che non possono oltremodo dipendere da uno Stato centralizzato non più in grado di rispondere alle sollecitazioni dei cittadini.

E’ indispensabile proporre la riforma dello Stato per superare lo stallo in cui si è caduti e questo non può prescindere da due soluzioni: una radicale riforma istituzionale che sappia conservare i valori e la storia propri della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e il rafforzamento dei principi liberaldemocratici che sappiano rendere costruttivo il ruolo pubblico nel rispetto dello sviluppo dell’uomo sia in termini economici che morali. La tutela dei diritti - in tutte le forme: sociali, educative e solidaristiche - non è più commercializzabile.

Perché esiste il progetto liberaldemocratico? Per il semplice fatto che la liberaldemocrazia vive in noi, nei valori in cui crediamo e che rappresentano l’aspirazione di gran parte dell’umanità. A quei valori manca la dinamica che li trasformi in sostanza politica, manca l’azione attraverso la quale rafforzare una democrazia e nella quale tutti si possano riconoscere, ma per far questo occorre rafforzare i diritti e tutelarli come bene primario di una società aperta al progresso, strumento quest’ultimo utile al raggiungimento equilibrato del benessere collettivo. I liberaldemocratici possono partecipare alle alleanze che ritengono opportune al momento, ma hanno il dovere civile di non assecondare progetti o riforme che non rispondano ai princìpi e ai valori della liberaldemocrazia e al progetto complessivo che quest’ultima ispira. Ogni proposta deve essere valutata sul cui prodest? di antica memoria. A chi giova? Non nel breve ma nel medio e lungo tempo.

E’ una domanda semplice che aiuta a comprendere quali fini o decisioni, al di là degli ideali che ciascuno cerca di commercializzare per propria utilità, si nascondano dietro a proposte di legge o leggi, per comprendere se queste rispondono alle nostre finalità ideali. Da questa risposta nasce la libertà di decisione, la coerenza per trasmettere con forza il chi siamo e cosa vogliamo ad una società… in cerca d’autore!